Silenziosamente, appare all’ingresso del box. La tuta allacciata alla vita, il sottotuta con le maniche corte e i bicipiti, scolpiti, bene in vista. Un orologio enorme al polso sinistro. In mano una scodella di muesli, dalla quale attinge implacabilmente mentre ci guarda. Si percepisce la calma consapevolezza di chi proviene da un’altra galassia. Ci considera con benevolenza, noi, povera specie animale che popola il box e che in quel momento si affanna per tirare a lucido la rossa berlina che proverà tra poco.
Gentilissimo, saluta tutti i componenti della squadra. Sorride quando vede il suo nome sul parabrezza e sui finestrini posteriori. Il numero 1 sulle portiere è un tributo dovuto. E inizia con le domande. Vuole sapere tutto. Il tono di voce calmo, lo sguardo attento, concentrato, come se dovesse pilotare una delle sua astronavi. Invece porterà in giro per i saliscendi toscani un automezzo che pesa più del doppio del suo e ha un terzo dei cavalli. Ho visto altri piloti, in situazioni simili, dispensare sorrisetti di sufficienza al limite della commiserazione per chi, come noi, doveva lavorare con pesanti palle da cannone anziché con frecce alate. Ma lui no. Anche se lui, gli altri, quelli dei sorrisetti, non li vede nemmeno. Il suo atteggiamento è quello del pilota che sa di dover andare al limite di qualunque cosa gli sia data. È il suo io. Solo concentrazione totale in quello che fa. O tutto o niente. Lo vedrò tra poco.
Poi sale in macchina. Sono pronti cumuli di cuscini per imbottire il sedile, diversi tipi di cinture di sicurezza: larghe, strette, volanti di ogni tipo e con distanziali di ogni misura, pedali di ogni forma e dimensione. Lui si siede, allaccia le cinture e dice che va bene così, perfetto. Ci guardiamo tutti, sorpresi da tanta semplicità. Mettiamo in moto per scaldare il motore. Esce per primo uno dei nostri piloti, tanto per vedere che tutto sia a posto. Un set di gomme usate, poi un set di gomme nuove. Ci servono dati freschi, che lui ci ha chiesto come riferimento.
Rientra la vettura e scarichiamo i dati. Ci sediamo con lui davanti al computer e, confesso, sono un po’ emozionato mentre scorriamo le varie pagine dell’acquisizione. Terminata l’analisi, raccoglie le idee per un momento poi dice “va bene, possiamo iniziare“. Primo run, esce e rientra dopo alcuni giri. Tutto bene, la macchina è facile da guidare, bontà sua, non pensava che fosse così divertente. Chiede se è possibile avere un altro set di gomme nuove. Non finisce di parlare che la macchina viene alzata e calzata con un set nuovo. Suggerisco di ritoccare le pressioni in base a quanto rilevato in precedenza. Annuisce e mi chiede conferma se le gomme durano solo un giro. Confermo, e aggiungo che è meglio risparmiarle nel giro di lancio, fino all’ultima, lunga curva. Ed esce di nuovo in pista.
Ascolto l’eco del motore. Sarà a poco più di metà gas. Penso dentro di me “un grande”. Poi passa per il giro veloce. Ed è un altro ritmo, nitido, perfetto. Ho un mio riferimento all’ingresso dell’ultima curva, per sapere in anticipo come sarà il tempo sul giro. Devo fare due volte il calcolo, penso che il primo sia sbagliato, e invece ecco la conferma sul cronometro. Sento la curiosità attorno a me, palpabile. Non dico niente e mostro il cronometro. Penso “è un grandissimo”. Tutti, indistintamente, rimangono impressionati. Da non credere. Come previsto il secondo giro è più lento, anche se non di molto. Rientra. Mi aspetto che dica due parole di circostanza, saluti e se ne torni alla sua freccia rossa. Invece no. Mi chiede, educatamente, se possiamo scaricare i dati e analizzare il suo miglior giro. Per dieci minuti buoni leggiamo e sezioniamo il suo giro, come se fossimo dopo una sessione di qualifica. Il dato più impressionante è il suo modo di usare l’acceleratore. Non parzializza, o gas tutto aperto o tutto chiuso. O tutto o niente. Poi, soddisfatto, saluta tutti i componenti della squadra e accetta di buon grado le inevitabili foto ricordo. Arriva la sua assistente, lo richiedono nel box dell’altra rossa. Ci ringrazia ancora e se ne va.
Da parte nostra la soddisfazione che tutto sia filato liscio è enorme. Sappiamo di aver vissuto un momento irripetibile. Per un brevissimo istante abbiamo condiviso il suo cammino. Ed è qualcosa che ci porteremo dentro, sempre.
Marco Calovolo